Ne sentite parlare da tempo, in una continua polemica a suon di comunicati stampa tra la SIAE, associazioni di consumatori, produttori di nuove tecnologie, qualche avvocato specializzato. Ma cos’è la copia privata per uso personale? Come è noto, la legge attribuisce ai creativi (autori, compositori e artisti interpreti ed esecutori) e agli imprenditori che si fanno carico di investire nella produzione musicale (editori musicali e produttori fonografici) dei diritti patrimoniali “esclusivi”; una sorta di diritto di proprietà, affinché essi possano essere incentivati a creare cultura e vedere così giustamente premiato con uno stipendio (il provento da diritto d’autore) il proprio sforzo creativo o economico. “Esclusivi” significa che il titolare di questi diritti è l’unico soggetto autorizzato ad utilizzare quanto di sua proprietà (l’opera nel caso degli autori e degli editori, la registrazione fonografica nel caso del produttore, la propria esecuzione nel caso del musicista esecutore), e può “escludere” quindi chiunque dall’utilizzarla senza il proprio consenso. In generale, quindi, senza espressa autorizzazione di un musicista, nessuno può registrare la sua esecuzione o esibizione live o in studio, né farne delle copie, stamparla, né metterla in commercio o pubblicarla online, né in alcun modo utilizzarla. Grazie a tale esclusiva, per esempio, il musicista (l’artista interprete ed esecutore) che si presta a eseguire un brano (opera musicale) in sala di incisione o dal vivo al fine di realizzare una registrazione fonografica (di un singolo brano o di un disco), può concordare direttamente con il produttore fonografico il compenso dovutogli per la concessione di questa “autorizzazione”: un compenso fisso nel caso dei c.d. “turnisti” o “artisti comprimari”; un compenso in percentuale sui ricavi derivanti dallo sfruttamento della registrazione, per gli artisti che firmano il contratto discografico (c.d. “primari”). Seguendo il sistema delle esclusive, tuttavia, nessun consumatore sarebbe autorizzato a fare una copia (cioè riprodurre) di un compact disc o di un file musicale senza ottenere il preventivo consenso del produttore fonografico della registrazione e dell’editore musicale dell’opera in esso contenuta perché violerebbe il suo “diritto esclusivo”, e quindi potrebbe fruirne solo tramite il supporto originale comprato.
Come possiamo immaginare, tuttavia, le riproduzioni di registrazioni musicali effettuate in ambito privato e per uso esclusivamente personale, sfuggono, per ragioni meramente pratiche, al controllo dei titolari dei diritti. Imporre un meccanismo di autorizzazione, in questi casi, sarebbe troppo complicato. Per tale ragione in Europa (UK esclusa) è stato concesso ai consumatori di fare tutte le copie che vogliono di un fonogramma, per poterne fruire su qualunque periferica, senza chiedere alcun permesso ai titolari dei diritti, prevedendo tuttavia un compenso a corrispettivo di tale utilizzazione. Tale compenso (art. 71-sexies l.d.a.) è previsto allo scopo di retribuire i titolari dei diritti per quelle riproduzioni effettuate in ambito privato: e cioè per quelle effettuate da una persona fisica su qualsiasi supporto, per uso esclusivamente personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Non è quindi una “tassa” (soldi che vanno allo Stato), ma sono soldi che vanno nelle tasche del “settore musicale”.
La funzione di questa regola, contrariamente a quanto qualcuno sostiene, non sarebbe quella di risarcire il mancato guadagno altrimenti possibile con la commercializzazione dell’opera (non è infatti lecito duplicare un cd avuto in prestito da un amico), ma di retribuire i titolari dei diritti per le riproduzioni delle fissazioni delle proprie prestazioni artistiche effettuate in ambito privato, riproduzioni che, appunto, sfuggono, per ragioni meramente pratiche, alla autorizzazione prevista per legge. Il meccanismo migliore per retribuire i titolari dei diritti è risultato essere (non senza critiche, invero) di fare pagare al consumatore finale (l’utilizzatore) tale compenso in forma forfetaria, quantificandolo come una parte del costo del cd vergine o della memoria di massa (Ipod o lettore mp3) acquistato, sul quale, probabilmente, verranno realizzate le copie. Un meccanismo imperfetto, perché è chiaro che potrei anche usare una periferica senza mai copiarci musica, ma è evidente che potenzialmente avviene così. Non a caso, solamente le aziende che acquistano questi beni, hanno diritto a vedersi rimborsato tale compenso, in quanto non è possibile per loro utilizzarle per effettuare copie (non private e non per uso personale) di fonogrammi.
Ogni anno, quindi, SIAE, che per comodità e indicazione di legge, funge da sportello di esazione, incassa svariati milioni di euro che vengono poi ripartiti ad autori ed editori (tramite SIAE stessa), agli artisti (tramite Nuovo IMAIE o altre collecting di artisti) e produttori fonografici (tramite SCF o le associazioni di categoria dei produttori o direttamente da singoli produttori), a retribuzione di tutte le riproduzioni (legali) di “musica” in ambito domestico.
Orbene, il compenso forfetario dovuto in copia privata per uso personale per ogni supporto o memoria di massa viene adeguato ogni tre anni con un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Comitato Consultivo Permanente per il Diritto D’Autore e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti fonografici, proprio per considerare che il mercato è soggetto a continui cambiamenti. Se, infatti, fino a 6 anni fa era molto comune farsi copie su CD, oggi è più comune copiare una canzone sul proprio smart phone o su una chiavetta USB da attaccare all’autoradio, o ancora sul proprio iPad. Orbene la diatriba è questa: la filiera musicale ritiene che le tariffe italiane vadano adeguate alla media dei maggiori Paesi europei, soprattutto con riferimento a tablet e smart phone, soldi che certamente aiuterebbero una filiera in crisi e potrebbero anche essere utilizzate per attività a sostegno della categoria. I produttori di tecnologie (multimilionari) eviterebbero di rinunciare volentieri a una parte dei propri profitti evitando un costo imprevisto, consapevoli che avendo prezzi al pubblico bloccati (€ 299,99) di certo non aumenteranno il prezzo al pubblico di pochi euro. I consumatori temono invece un aumento dei prezzi di tali prodotti, e la percepiscono come una tassa. Qualcuno ancora vuole sapere prima di pagare come tali soldi vengano impiegati. Il resto è colore.
Jean Michel Jarre, notissimo compositore francese e oggi presidente della CISAC, la confederazione internazionale che riunisce tutte le “SIAE” del mondo, voce degli autori e degli artisti di tutto il mondo, ha dichiarato di recente “L’unica cosa che c’è di smart in un telefono sono i contenuti”. Voi cosa ne pensate?