Il 5 agosto scorso l’INPS ha emanato la circolare n. 115 ove, di fatto, l’ente previdenziale sancisce che molti lavoratori dello spettacolo non hanno diritto all’indennità di disoccupazione, anche se ne hanno maturato i requisiti di legge. Nel far ciò, l’ente si appoggia a una recente sentenza della Cassazione, interpretando la normativa in vigore sotto un profilo fortemente restrittivo.
Partiamo da una veloce carrellata sulla disciplina concernente l’indennità di disoccupazione: anzitutto, l’ammortizzatore sociale è stato introdotto nel 1919 allo scopo di aiutare economicamente i lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione involontaria, mediante l’erogazione statale di una somma di denaro (detta «indennità»), a fronte di determinati requisiti e dietro domanda individuale del lavoratore.
Oggi l’istituto è disciplinato principalmente dal D.L. 185 del 29 novembre 2008 e dal R.D.L. 636 del 14 aprile 1939, ove troviamo due tipologie di indennità di disoccupazione, alternativa una all’altra, ognuna con i seguenti requisiti da cumulare:
A) a requisiti ordinari: 1) conclusione del rapporto di lavoro per motivi non imputabili alla propria volontà; 2) dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ai Centri per l’impiego; 3) anzianità contributiva (pari a 2 anni di versamenti presso il fondo INPS per la disoccupazione); 4) requisito contributivo (pari a 52 contributi settimanali nel biennio precedente lo stato di disoccupazione); 5) capacità lavorativa; 6) presentazione della domanda all’INPS entro il 68° giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro;
B) a requisiti ridotti: 1) dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ai Centri per l’impiego; 2) anzianità contributiva (almeno 2 anni di anzianità assicurativa contro la disoccupazione involontaria); 3) requisito contributivo (non potendo far valere 52 contributi settimanali negli ultimi 2 anni, si possono far valere uno o più periodi di lavoro subordinato per almeno 78 giorni di calendario nell’anno solare precedente a quello in cui si effettua la domanda); 4) presentazione della domanda all’INPS entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui si sono verificati i periodi di disoccupazione.
L’indennità è appannaggio esclusivamente di lavoratori subordinati, escludendo dunque lavoratori autonomi e parasubordinati. Come si evince dai requisiti, è una misura diretta a chi precedentemente ha effettuato prestazioni lavorative e con versamenti INPS a titolo di disoccupazione (effettuati dal datore di lavoro). Di prassi, l’indennità a requisiti ridotti è richiesta soprattutto da chi effettua prestazioni occasionali o stagionali (ad es. nello spettacolo è diffusa tra i lavoratori soci di cooperative), mentre quella ordinaria da chi ha avuto un rapporto di subordinazione a tempo pieno.
Dopo questa succinta panoramica, passiamo alla normativa che tocca il lavoro dello spettacolo, cioè l’art. 40 del R.D.L. n. 1827 del 4 ottobre 1935 (oggetto negli anni di numerose ma parziali abrogazioni), ove leggiamo che:
«Non sono soggetti all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria: […] 5) il personale artistico, teatrale e cinematografico».
Orbene, detto ciò resta da precisare quale interpretazione dare al testo della legge appena riportata. La definizione di «personale artistico» è quella dettata da un’altra legge, dall’art. 7 del regolamento di cui al R.D. n. 2270 del 1924: «Non sono considerati appartenenti al personale artistico, così teatrale come cinematografico, agli effetti dell’art. 2, n. 5, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158 [recepito poi nell’art. 40, n. 5 del R.D.L. n. 1827 del 1935], tutti coloro che al teatro o al cinematografo prestano opera la quale non richieda una preparazione tecnica, culturale o artistica». Di nuovo, il dato normativo lascia perplessi, aprendo un dibattito interpretativo sul suo significato. Più volte proprio l’INPS è intervenuta con proprie circolari (come tali, da considerarsi semplici atti amministrativi a uso interno all’ente, non come fonti di legge) a svolgere un’interpretazione autorevole, ad es. con la n. 137 del 2002, la n. 67 del 2004, ecc., lasciando di volta in volta molti dubbi.
Nel 2010, con sentenza n. 12355, la Cassazione ha riaffermato che il personale artistico, teatrale e cinematografico di cui all’art. 40 n. 5 del citato R.D.L. n. 1827 del 1935 (che costituisce solo una parte dei lavoratori dello spettacolo, rientrando in tale più ampia qualificazione anche i lavoratori adibiti ad attività che non presuppongono una preparazione artistica) deve ritenersi escluso dall’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, sia con riferimento all’indennità di disoccupazione a requisiti normali che con riferimento all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti. Ciò anche se il lavoratore ha maturato tutti i requisiti visti in precedenza.
Tuttavia, la Cassazione non è intervenuta a circoscrivere quali categorie di lavoratori siano da considerarsi a priori escluse dal diritto all’indennità. Entra dunque in gioco di nuovo l’INPS che, dopo una serie di incontri svolti con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i rappresentanti delle categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore nonché con l’Enpals, ha redatto con la collaborazione di quest’ultimo ente un elenco delle categorie professionali da annoverare nell’ambito del «personale artistico, teatrale e cinematografico», con relativo codice Enpals. I soggetti inquadrati in tali categorie saranno considerati dall’ente previdenziale come esclusi a priori dal beneficio dell’indennità di disoccupazione.
Leggendo l’elenco troviamo moltissime e diffusissime categorie Enpals: artisti lirici, cantanti e orchestrali anche di musica leggera (quindi tutti i complessi musicali, di qualunque genere), coristi e vocalisti, maestri del coro, assistenti e aiuti del coro, suggeritori del coro, attori di prosa, cinematografici o televisivi, artisti del circo, imitatori, prestigiatori, presentatori, registi, sceneggiatori, direttori della fotografia, soggettisti, direttori di scena o del doppiaggio, direttori d’orchestra, compositori, concerti e solisti, professori d’orchestra, consulenti assistenti musicali, coreografi, ballerini e tersi corei, scenografi, bozzettisti, creatori di fumetti o illustrazioni finalizzati all’animazione, ecc. Sono inclusi i lavoratori autonomi esercenti attività musicali ma la stessa circolare sottolinea che costoro sono esclusi in partenza perché non sono lavoratori subordinati.
Dalla lettura ricaviamo che non sono comprese nell’elenco le figure di tecnici dello spettacolo, i DJ (ricomprese nelle tutele Enpals) e i docenti di materie spettacolistiche (non tutelati dall’Enpals, di solito oggetto di contribuzione INPS). Dobbiamo dunque pensare che tali categorie siano automaticamente aventi diritto all’indennità? Non è una certezza, l’ente potrebbe comunque addurre argomenti che giustificano un rifiuto, nel caso concreto.
In definitiva, ne ricaviamo che l’INPS manifesta sin d’ora l’intenzione di rifiutare a priori l’indennità di disoccupazione a chi rientri nell’elenco succitato, per questo solo fatto. Gli altri, però, potranno comunque essere oggetto di una diversa valutazione da parte dell’ente volta a escluderli, se viene applicata un’interpretazione restrittiva caso per caso (nulla impedisce, persino, che una sede territoriale dell’INPS possa escludere soggetti inclusi invece da un’altra sede, adducendo le più svariate argomentazioni).
Ricordiamo che il rifiuto da parte dell’INPS all’erogazione dell’indennità è sempre ricorribile, mediante il Comitato Provinciale dell’INPS entro 90 gg. dalla data di comunicazione del provvedimento di rifiuto. Dopo il ricorso amministrativo è ammesso il ricorso all’autorità giudiziaria. Tuttavia è evidente che una circolare come quella in discussione sarà impugnata sempre dall’ente, a priori, per giustificare il proprio diniego e sarà più difficile far valere le proprie opposte ragioni, anche di fronte a un giudice.
La circolare INPS testé illustrata ha generato numerose critiche e malumori nel settore, con annunciate azioni e proteste da parte di associazioni, sindacati, ecc. Da parte nostra, ci limitiamo a osservare che la base normativa che permette le preclusioni in parola è desueta, facendo capo a una situazione del mercato del lavoro del 1935. Chi potrebbe affermare che oggi le condizioni lavorative, economiche e sociali siano le stesse di quasi un secolo fa? È evidente che la norma andrebbe abrogata, numerosi progetti di legge dello spettacolo negli anni hanno previsto tale passo. Non si ravvedono proprio ragioni o argomenti che giustifichino l’esclusione in esame.
Speriamo che non solo l’ente previdenziale bensì il legislatore stesso intervengano per riequilibrare una situazione di disparità di trattamento che si può ritenere ingiustificata e, come tale, passibile di interpretazione abrogativa da parte della Corte Costituzionale ex art. 3 della stessa Costituzione.