Il Regno Unito non è diverso dal resto del mondo, quanto alle difficili condizioni in cui versa la maggior parte dei musicisti. Una nuova ricerca commissionata dalla Musicians’ Union, associazione nazionale di categoria con oltre 30.000 iscritti, rivela che nell’ultimo anno il 60 per cento di coloro che suonano uno strumento e si esibiscono in pubblico lo ha fatto a titolo gratuito, mentre tra i musicisti di professione più della metà ha percepito meno di 20 mila sterline (24.600 euro) in tutto.
Una statistica “infausta per il futuro della musica nel Paese“, secondo il segretario generale della Musicians’ Union John Smith, il quale ricorda che “moltissimi membri dell’organizzazione sono proprietari di piccole e medie imprese che lottano contro un’ondata di tagli alle arti e una riduzione delle entrate dovute alla pirateria. Piccoli ma significativi investimenti da parte del governo potrebbero fare una enorme differenza per chi lotta per sopravvivere. Quel che è interessante è che tra i musicisti sondati dalla ricerca e che incassano royalty (come autori o interpreti), più della metà ha spiegato che esse hanno rappresentato per loro una importante fonte aggiuntiva di entrate. Ciò sconfessa definitivamente la tesi secondo cui i normali musicisti non traggono benefici dalla tutela dei copyright“.
E’ possibile scaricare il report in pdf cliccando qui.
A seguito del report la Musicians Union ha lanciato la campagna “Work, not Play” a favore di un equo pagamento dei musicisti, a cui troppo spesso viene richiesto di lavorare gratuitamente mentre tutte le altre professionalità coinvolte negli eventi musicali vengono pagate. La campagna ha dato vita ad un sito internet che raccoglie numerose testimonianze e iniziative: www.worknotplay.co.uk.
Fonti: Rockol, Musicians Union