Abbiamo già detto come sia fondamentale il ruolo svolto dalle società di gestione collettiva dei diritti d’autore (in Italia dalla SIAE), che rendono più semplice e remunerativa l’attività degli autori (della parte letteraria e di quella musicale) e degli editori musicali.
Abbiamo anche detto che il compenso in questione (il provento da diritto d’autore) non è da considerarsi una “tassa”, ma lo “stipendio” dovuto agli autori dei brani eseguiti per l’utilizzo delle loro opere, provento che la SIAE, a nome dei sui iscritti o mandanti, richiede a chi faccia uso del repertorio musicale da essa rappresentato.
Ciò promesso, cerchiamo di capire il complesso meccanismo attraverso il quale è possibile calcolare l’ammontare di tale provento.
Il processo logico che porta alla ripartizione dei delle somme incassate da SIAE è il seguente:
1) Ammontare incassato per la licenza di diritto d’autore (al netto dell’IVA al 22%, che sono soldi che vanno allo Stato (questa si che è una tassa!). La tariffa per la licenza collettiva che SIAE fa è molto variabile e cambia da utilizzazione a utilizzazione.
2) Sottrazione dell’aggio (ovvero della percentuale che SIAE trattiene a copertura delle proprie spese di intermediario). Questa percentuale varia da utilizzazione a utilizzazione e di anno in anno.
3) Applicazione del criterio di ripartizione scelto e conseguente calcolo del provento dovuto a ciascuna opera. I criteri di ripartizione sono decisi di anno in anno dal Consiglio di Gestione della SIAE, su parere non vincolante della Commissione di Sezione Musica. Cioè sono decisi dai rappresentanti eletti della base associativa (autori ed editori).
In generale, il criterio preferibile, in quanto maggiormente giusto è il criterio analitico, ovvero quello grazie al quale abbiamo l’esatta descrizione delle utilizzazioni effettuate e possiamo dividere puntualmente le somme raccolte sui brani effettivamente utilizzati, secondo il motto “a ciascuno il suo”.
Tuttavia, questo criterio è anche il più costoso, perché tenere traccia di singole utilizzazioni, controllare che la rendicontazione sia corretta e fare calcoli puntuali rappresenta un costo per SIAE e quindi, per l’autore e l’editore, che si vedranno sottrarre un aggio più alto.
Il criterio analitico, trova quindi generalmente un limite nell’efficienza economica del sistema, cioè nella convenienza dell’avente diritto.
Facciamo un esempio. Supponiamo di andare a mangiare la pizza con gli amici, come si faceva alla fine dell’anno scolastico. Al momento di pagare il conto sorge il classico problema. Che si fa? Facciamo in parti uguali (dalle nostre parti si dice “alla romana”), indipendentemente da cosa ha ordinato ciascuno, così facciamo prima, o facciamo conti separati e ci fermiamo alla cassa a dichiarare cosa ha preso ciascuno di noi?
Ecco, vedete, nel secondo caso (conti separati), il criterio analitico perfetto è possibile, ma richiede più tempo (quindi più costo), e ci porterà via una fetta della nostra serata.
Ora laddove è possibile fare controlli sull’effettivo utilizzo, le società di autori si fanno dare dei rendiconti (report), nel quale chiedono all’utilizzatore di indicare l’esatto utilizzo delle opere musicali.
Nella musica dal vivo questo avviene per esempio col programma musicale (borderò), nell’emittenza radiotelevisiva, questo viene fornito in forma informatica, nella stampa di supporti musicali si presenta la label copy, cioè l’esatta track list con la durata di ciascuna opera, e così via.
Vi sono casi in cui, tuttavia, la SIAE non richiede report di utilizzo perché il criterio analitico è troppo oneroso. Per esempio il pubblico esercizio che paga alla SIAE un compenso fisso all’anno di poche decine di euro per trasmettere le opere del repertorio di SIAE in sottofondo alla clientela non è tenuto a fornire un report analitico di ciò che diffonde. Per quelle poche somme sarebbe maggiore il costo del conteggio e l’onere di fornire il report che il beneficio portato agli aventi diritto.
Di conseguenza tali somme vanno ripartite agli aventi diritto prendendo a riferimento un criterio di buon senso, probabile, quindi non perfetto: queste sono le cosiddette ripartizioni supplementari (talvolta le sentite chiamare “calderoni” o “black box”). Mi spiego, supponiamo che a fine cena, pagato il conto “alla romana”, avanzi, come spesso accade, qualche euro di resto. Come dovremmo ridistribuirlo tra coloro che hanno partecipato alla cena?
Ecco, in forma semplificata, queste sono le domande che si fa qualunque società di gestione collettiva. La risposta a queste domande e la scelta dei criteri di ripartizione è proprio l’argomento di maggiore discussione nella categoria degli autori e degli editori, e vi dedicheremo ulteriore spazio in futuro.