La recente e molto discussa riforma della normativa sul lavoro, ad opera del Ministro Fornero, mediante L. del 28 giugno 2012 n. 92, presenta numerosi aspetti di interesse anche del settore musicale, soprattutto per quanto riguarda il lavoro parasubordinato e autonomo (incidendo perlopiù sulla disciplina della cd. Legge Biagi, il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276). Non tratteremo infatti in questa sede i numerosi profili del lavoro subordinato, di minor peso: è noto come nel settore artistico non sia affatto la tipologia di lavoro dominante. Per gli aspetti qui trattati, invece, precisiamo di voler effettuare solo una panoramica informativa, poiché la materia è complessa, in via di costante aggiornamento ed evoluzione. Si consiglia sempre di consultare professionisti esperti del settore per approfondimenti in merito.
L’analisi delle innovazioni non può partire che dal rapporto di contratto d’opera, diffusa tipologia di lavoro autonomo ove il lavoratore compie prestazioni di lavoro per uno o più committenti, a fronte di un corrispettivo, in piena autonomia.
La normativa è mirata a combattere gli abusi di contratti d’opera che «nascondono» rapporti di subordinazione: il primo obiettivo è quello dei lavoratori titolari di partita IVA, per i quali si presume la prestazione come d’opera coordinata e continuativa (abbreviata come «co.co.co») se sussistono almeno due dei seguenti tre requisiti:
a) durata complessiva della collaborazione superiore a 8 mesi annui per due anni consecutivi;
b) il corrispettivo rappresenta più dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal lavoratore nell’arco dei due anni solari consecutivi;
c) il lavoratore dispone di una postazione fissa di lavoro presso una sede del committente.
Essendo una presunzione, in presenza degli elementi suddetti il committente dovrà provare il contrario, per evitare che si identifichi come co.co.co. Dunque dovrà provare che non sussistono la continuità e il coordinamento, dati alla mano.
Tuttavia la presunzione non opera in una serie di casi tassativi:
a) se la prestazione è connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, oppure da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
b) se la prestazione è svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 1 c. 3 l. 2 agosto 1990, n. 233 (legge di riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi – per il 2012 l’importo è fissato a un minimale di € 18.663);
c) se la prestazione è svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione a un ordine professionale, oppure ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati.
Che effetti provocherebbe tale presunzione di collaborazione coordinata e continuativa? Semplice: una prestazione co.co.co. oggi è lecita solo nei seguenti casi (in alternativa):
1) è un contratto di lavoro a progetto (che richiede oggi un preciso e dettagliato progetto, di fatto scritto, destinato a un determinato risultato finale); si badi che, sempre per effetto della riforma in parola, il progetto non può: a) riproporre meramente l’oggetto sociale del committente; b) comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi; non si dimentichi che in alcuni casi, espressamente previsti, pur sussistendo i requisiti non si applica la disciplina del lavoro a progetto, qualora si tratti di:
I) professionisti iscritti agli albi di categoria; II) membri di organi di amministrazione e controllo di società nonché i partecipanti a collegi e commissioni; III) collaborazioni coordinate e continuative rese a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate ed agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI; IV) titolari di pensioni di vecchiaia;
2) è una mini co.co.co., cioè una collaborazione occasionale quando (cumulativamente):
I) i compensi annuali per tali prestazioni non superano € 5.000 annuali complessivi;
II) la prestazione è di durata inferiore a 30 giorni nell’anno solare (oppure non è superiore a 240 ore in caso di cura e assistenza a persone);
3) la prestazione è svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione a un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati (nel settore musicale, attualmente non sussistono tali albi).
Se la prestazione non è lecita perché non rispetta i parametri appena visti, allora il rapporto si considererà di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con automatica assunzione del lavoratore e obbligo di versargli contributi e tasse relativi, applicazione di sanzioni per violazione della relativa disciplina, responsabilità con risarcimento dei danni, ecc.
Altra tipologia di lavoro riformata e di certo interesse per lo spettacolo è quella del lavoro accessorio: si tratta di prestazioni di lavoro occasionale (non riconducibili a lavoro autonomo né subordinato, caso unico) che in precedenza erano permesse solo per determinate categorie (es. lavoratori agricoli, domestici, ecc. – di nostro interesse, si prevedeva l’insegnamento privato supplementare, applicabile ai docenti privati di musica) e che presentano una particolarità del tutto propria: il pagamento delle prestazioni avviene mediante i voucher, cioè buoni prepagati (oggi con un valore nominale orario) di origine statale.
Il meccanismo è il seguente: il beneficiario della prestazione di lavoro (cioè il committente, se si trattasse di lavoro autonomo; es. nell’ambito di lezioni di musica, sarebbe l’allievo) acquista i voucher presso un concessionario autorizzato (es. tabaccai, sportelli bancari, uffici postali, sedi INPS – anche online) per l’importo corrispondente alla prestazione, poi li consegna – dopo la prestazione di lavoro – al lavoratore; a sua volta, il lavoratore andrà a riconsegnare i voucher presso il medesimo concessionario e otterrà così il pagamento di quanto dovuto, al netto di ritenute previdenziali 13% (INPS gestione separata, presso cui è o deve essere iscritto il lavoratore), antinfortunistiche 7% (INAIL) e compenso al concessionario 5%. In data odierna, a fronte di € 10 del valore nominale del singolo voucher, al lavoratore viene pagato un netto di € 7,50. Si noti che i voucher non sono soggetti a imposizione fiscale.
La riforma Fornero ha eliminato le limitazioni di attività, per cui pare di intendere che si potrà svolgere lavoro accessorio nei più svariati ambiti. I paletti di applicazione restanti sono economici, va rispettato difatti quanto segue (cumulativamente):
a) i compensi complessivamente percepiti dal lavoratore da parte di imprenditori commerciali o professionisti non possono superare € 5.000 nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei compensi dell’anno;
b) le prestazioni rese a favore di imprenditori commerciali o professionisti non possono comunque superare € 2.000 per ciascun committente in un anno.
Resta da chiarire se, di conseguenza, chi svolga lavoro artistico possa svolgere lavoro accessorio come indicato oppure no: per l’attività artistica si applica la disciplina previdenziale exEnpals, non pare perciò inquadrabile nel meccanismo dei voucher (che contempla un versamento previdenziale INPS gestione separata) e sarebbe da escludersi l’applicazione tout court della fattispecie. Si auspica che nei mesi successivi si faccia chiarezza con circolari interpretative. Nel frattempo, pare applicabile tale tipologia a prestazioni non assoggettabili alla previdenza exEnpals, come ad es. le citate docenze in ambito musicale.