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Home Articoli

Musica dal vivo: la rivoluzione che non c’è

4 Novembre 2013
in Articoli, Music Business
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Si è fatto tanto parlare nell’ultimo mese del contenuto del Decreto Valore Cultura (D.L. 91/2013), deliberato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto, approvato al Senato in prima lettura apportando modifiche alle disposizioni originarie e inserendo nuovi contenuti e approvato definitivamente dalla Camera il 3 ottobre (L. 112/2013). In particolare si è diffusa ancor prima della conversione definitiva alla Camera, l’idea di una vera rivoluzione nel mondo della musica dal vivo e la notizia (falsa) che gli organizzatori non debbano più pagare la SIAE per i concerti con meno di 200 spettatori.
Cerchiamo di capire meglio cosa è successo.

È indubbio che, anche a seguito della grave crisi economia, il settore culturale, in generale, stia vivendo un momento di grave difficoltà. Lo testimoniano anche i dati sullo Spettacolo 2012 in Italia pubblicati dalla SIAE in merito ai concerti (spesa al botteghino -11,83%; spesa del pubblico -11,20%; volume d’affari -10,10%: ingressi -8,60%) e quest’anno vi è la netta sensazione che le cose siano peggiorate ulteriormente.
Tra le varie soluzioni utili al rilancio del settore c’è chi ha individuato una maggiore semplificazione burocratica, sulla scorta del Live Music Act del 2012 inglese, il quale ha concesso ai luoghi con capacità inferiore ai 200 spettatori di ospitare musica al vivo tra le 8 e le 23 senza sottoscrivere l’apposita licenza. Si guardi bene, il provvedimento inglese non intacca in alcun modo il pagamento dei diritti d’autore dovuti per la pubblica esecuzione. Tuttavia, in una Italia prigioniera della burocrazia e con una scarsissima cultura del diritto d’autore, tale norma è stata vista come “mai più SIAE (=burocrazia) sotto i 200 spettatori”. C’è chi si è fatto portavoce di tale crociata.

L’architetto Stefano Boeri (ex Assessore alla Cultura del Comune di Milano), ha lanciato una petizione su Change.org che ha raccolto oltre 36.000 firmatari. L’ANCI e diversi Comuni italiani si sono schiarati in tale senso, anche se, vi si sono state delle differenziazioni (solo per gli spettacoli gratuiti o di beneficienza, o solo fatti da associazioni di volontariato e di promozione sociale come nell’emendamento “Marcucci”, sostenuto da esponenti del PD, nessuno dei quali mi pare venga dal settore musicale).
Cerchiamo allora di capirci.

La SIAE raccoglie il diritto d’autore per conto dei propri iscritti o mandanti, italiani o, attraverso accordi di reciprocità, iscritti ad altre SIAE del mondo. Di fatto, la SIAE concede in Italia l’utilizzo del più grande repertorio di opere musicali, raccogliendo così lo stipendio degli autori e dei compositori. Come già visto in altri articoli della nostra rubrica, con regole interne decise dai rappresentanti della categoria, la SIAE poi stabilisce come ripartire tali somme: in taluni casi vengono utilizzati criteri puntuali e analitici (es.: concerti), in altri criteri a campionamento o misti (es.: intrattenimenti musicali/concertini). Ancorché siano discutibili, la scelta delle tariffe e delle regole di ripartizione sono e restano una prerogativa della categoria, attraverso i propri organi sociali in SIAE, e non possono di certo essere plasmate dall’esterno.

Ora, sappiamo bene che, in taluni casi, le tariffe SIAE risultano essere esose rispetto al contesto economico nel quale si realizza lo spettacolo, e credo sia condivisibile che la SIAE (ovvero gli autori e gli editori) debba venire incontro alle esigenze del mercato attuale, pur di evitare un aumento dell’evasione del diritto d’autore, così come debba, laddove possibile, operare con criteri di ripartizione analitici.
Tuttavia, questo è altro dal dire: “per fare ripartire il mercato della musica dal vivo si imponga per legge che una categoria (quella che peraltro fornisce l’oggetto essenziale dello spettacolo, la musica) rinunci al proprio stipendio”. Perché non farlo allora su altre spese? La corrente elettrica, la birra, le cameriere, ecc., ecc. Forse tra poco per legge si dirà “i musicisti dovranno suonare gratis, così si faranno più concerti”. Provocatoriamente, per fare un parallelismo, sarebbe come dire che la soluzione dei problemi della crisi dell’industria automobilistica sia non pagare più gli operai: avete una idea di cosa succederebbe in Italia?

Appurata l’impossibilità di portare avanti una siffatta linea, che peraltro ha dubbi profili di legalità, all’approvazione del decreto in Senato è stato aggiunto un ordine del giorno -anch’esso approvato- che impegna il Governo a rivedere, d’intesa con la SIAE, le modalità di riscossione del diritto d’autore, eventualmente in occasione del disegno di legge di stabilità, con particolare riferimento agli eventi di musica dal vivo con un numero di spettatori effettivi inferiore a 200, prevedendo semmai una tariffa unica, ridotta e forfetaria e agli spettacoli promossi dalle organizzazioni di volontariato o di promozione sociale finalizzati alla raccolta dei fondi per beneficenza con un numero di spettatori effettivi inferiori a 200, prevedendo auspicabilmente una esenzione completa degli stessi.

Anche in questo caso, mi pare siamo lontani da un possibile cambiamento e da ogni ragionevolezza. Posto che la SIAE agisce negli interessi degli autori e che, rispetto alla questione tariffe, ha una totale autonomia, la questione della esenzione per beneficienza sfiora l’incredibile. Si vuole passare il concetto che se un organizzatore vuole fare beneficienza debba farlo sulle spalle di qualcuno costringendolo a regalare il proprio lavoro, forzatamente. La beneficienza si fa con la differenza tra costi e ricavi, dopo avere pagato i fornitori, non espropriando i fornitori del loro lavoro. Nel caso non si volesse pagare la SIAE, ricordo che si possono sempre organizzare spettacoli con repertorio di pubblico dominio (es.: musica classica dell’800) o di autori non iscritti alla SIAE. Riuscite poi a immaginarvi nella furbizia e illegalità italiana, quanti si infilerebbero in tale “esenzione”?

Per tutto quanto sopra l’unico effetto prodotto dal Decreto Valore Cultura in ambito di musica dal vivo risulta essere legato agli obblighi di comunicazione per gli spettacoli con meno di 200 spettatori, in particolare quando gli spettacoli sono fatti in luogo pubblico, in un parco, una piazza o solo nei locali che abbiano biglietto di entrata o maggiorazioni, situazioni per le quali vi era una serie di pratiche da fare, effettivamente brigose, oggi sostituite con una semplice dichiarazione al Comune. Per i locali in generale (cioè quelli senza biglietto di entrata o maggiorazioni al tavolo), non vi erano particolari obblighi, infatti non vi sono novità significative.

In conclusione, quindi, nulla è cambiato né rispetto alla SIAE e al diritto d’autore, ancora dovuti, né rispetto alla previdenza (INPS ex Enpals), somme che, al di là della farraginosità delle pratiche, sono compensi per autori e musicisti, non “burocrazia”. Auspichiamo interventi che sostengano chi fa musica dal vivo con contributi, con sgravi fiscali, tax credit, affinchè gli organizzatori propongano cultura, e non invece interventi sulle spalle o a danno di chi la cultura la fa.

Questo articolo appare, in altra forma, anche sul numero di ottobre del mensile Chitarre

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