Come funziona questo famigerato contratto discografico? Vi stupirà, tanto è banale, ma un contratto discografico (come qualunque contratto scritto) non è altro che mettere nero su bianco l’incontro di due volontà. Quindi, la prima cosa da ricercare è la volontà di ciascuna delle parti, il “cosa farò io per te” e il “cosa farai tu in cambio per me”, le quali poi si fondano nell’ “accordo armonioso” che tiene insieme il rapporto, patrimoniale e umano. È quindi necessario avere ben chiaro cosa si cerca, e cosa si è disposti ad offrire in cambio.
Prima ancora di questo, è opportuno conoscere bene chi si ha davanti, la sua storia professionale, la sua reputazione, il suo modo di lavorare, le sue idee sulla musica e sulla vostra musica, la sua concretezza e affidabilità.
Il nostro settore è un habitat davvero curioso, in cui si aggirano squali, gatti e volpi pronti a leccarsi i baffi davanti a nuovi polli da spennare, che vi chiedono di seppellire il vostro talento per fare crescere un albero di denari; d’altra parte, è ancora frequentato da professionisti seri e capaci, spesso di vecchia data, nonché da volonterosi appassionati che si indebitano per amore della musica, pur consapevoli che la crisi di mercato attuale difficilmente li farà ritornare del loro investimento.
È bene essere attenti alle fregature, da un lato, ma non per forza diffidenti verso tutti, dall’altro.
Qualunque sia la persona che si dimostra interessata alla vostra musica, è bene cercare di conoscerla approfonditamente prima di impegnarsi in un rapporto professionale. Evitate tutti coloro che vi fanno fretta, in particolar modo chiedendovi denaro: chi è davvero interessato a voi sa ragionevolmente aspettare. Cercate un rapporto umano, fatto di un confronto diretto e chiacchierate sulla musica. Cercate consapevolezza dei limiti e delle possibilità che ciascuna controparte vi offre. Valutate attentamente.
Chiunque sia la persona interessata a voi, il suo obiettivo raramente sarà la beneficenza, ma investire denaro nel vostro talento, perché questo generi altro denaro: è il fondamento del music business. Di questo, siatene consapevoli, bisogna avere molto rispetto, soprattutto oggi. Non è facile trovare di questi tempi chi investe il proprio denaro in cultura, rischiando in proprio, dando possibilità a un giovane talento di fare conoscere la propria arte al mondo o anche solo a una piccola parte di esso. Non prendetela in giro: se non siete convinti di percorrere questa strada, non fatele sprecare i suoi soldi per poi dire “per me era solo un gioco”. Se va bene, certamente ne trarrà beneficio economico e magari reinvestirà tale denaro nuovamente, in voi o in altri; ma se va male, al di là della vostra personale delusione, andrà innanzitutto male per lui, che avrà perso il proprio tempo e il proprio denaro. Ecco perché, ai giorni nostri, con la crisi della discografia e delle vendite, la vostra controparte non è sempre il nemico al quale strappare l’accordo migliore o quell’un per cento in più di royalty, ma potrebbe essere il vostro migliore alleato. La vita d’altra parte ci insegna che una relazione funziona quando si è felici tutti e due.
Gli accordi pertanto oggi possono davvero essere molto vari e sfuggire agli schemi più tradizionali, schemi che comunque bisogna aver presente per orientarsi e valutare le varie proposte. Li riportiamo qui di seguito, nella forma più sintetica. Innanzitutto, per comprendere le varie tipologie di accordo è necessario conoscere il processo che porta alla pubblicazione del disco, che è composto di varie fasi:
1) produzione: processo che porta alla realizzazione del master definitivo composto da: a) pre-produzione: scrittura e scelta dei brani da registrare, prove, arrangiamenti, provini o demo; b) produzione in senso stresso: registrazione e missaggio del prodotto; c) postproduzione: editing e mastering.
2) scelta e realizzazione della grafica del disco, dell’immagine dell’artista e del materiale fotografico e promozionale;
3) richiesta dei bollini S.I.A.E. e pagamento della licenza DRM2 (in caso di copie fisiche);
4) stampa del disco (in caso di copie fisiche);
5) promozione;
6) distribuzione (fisica o digitale).
Il contratto discografico tradizionale, una normalità sino a pochi anni fa, prevede che tutte queste fasi siano completamente finanziate dal produttore fonografico, che è appunto il proprietario della registrazione realizzata in studio e che ha il diritto di sfruttare tale registrazione per tutto il periodo di protezione offerto dalla legge sul diritto d’autore, ovvero, ad oggi, per settanta anni dalla sua prima pubblicazione. L’artista di fatto si occupa esclusivamente della propria esibizione in studio, spesso sotto la direzione di un produttore artistico, e offre il proprio tempo per promuovere il prodotto.
Se immaginiamo un rapporto contrattuale come una bilancia da mercato possiamo certamente immaginare che laddove lo sforzo economico messo su un piatto è elevato, d’altra parte il margine lasciato all’artista è certamente esiguo. Un contratto discografico normalmente prevede in favore dell’artista una percentuale lorda compresa tra il 4 per cento e il 16 per cento del prezzo incassato dalla casa discografica (PPD) sulle vendite fisiche del disco, sino a un 25 per cento sulle somme incassate per sincronizzazioni (abbinamento di musica a immagini, come per spot pubblicitari, film ecc.) e altre licenze.
D’altra parte, chi ci mette i soldi si arroga il diritto di avere la massima autonomia in merito a come il progetto vada presentato e gestito, anche a scapito della libertà artistica (questo nella scelta dei brani, nell’immagine, nei tempi e nei modi della commercializzazione e così via). Si è costretti a trovare un compromesso tra libertà dell’arte e mercato, proprio perché il rischio di non raggiungere almeno il “punto di pareggio” è sempre in agguato.
Lanciare un artista è uno sforzo notevole. È come lanciare un razzo nello spazio. Come quei lanci-evento di space shuttle che si vedevano in tv qualche decina di anni fa. Il massimo dello sforzo e del carburante viene speso per sollevare il razzo dal suolo. Quando poi è in orbita è tutto più facile. Questo è il motivo per cui chi investe denaro su di voi vuole assicurarsi, nel caso andiate nello spazio e diventiate una stella, di potere poi guadagnare da questo rischioso investimento.
Da qui la necessità di chiedere all’artista, oltre alla cessione dei suoi diritti di artista, interprete ed esecutore su quanto viene registrato (aspetto necessario anche solo per premere il tasto rec in sala di incisione), anche alcune obbligazioni molto comuni:
1) un accordo di esclusiva: “Per un determinato periodo di tempo registrerai solo con me”.
2) un impegno minimo per la pubblicazione di n brani o dischi. Una volta era molto comune la clausola tre dischi in cinque anni. Oggi si procede a tentativi. “Un disco, poi se va bene ti chiedo un secondo disco e se va ancora bene ti chiedo di fare un altro disco ancora…”, se la cosa non funziona il produttore vi può salutare anche subito, ma se va economicamente bene siete costretti a rimanere con lui.
3) un patto di non concorrenza: “Non registrare nuovamente gli stessi pezzi con un altro produttore per cinque anni dalla fine dell’esclusiva”. Due dischi dello stesso artista con gli stessi brani, si rubano vendite a vicenda.
4) la possibilità di sfruttare l’immagine dell’artista per promuovere il disco: cosa necessaria, come è facile capire.
Oltre a queste, non mancano peraltro obbligazioni come:
1) eventuali patti di prelazione: una sorta di diritto di tornare insieme a rapporto finito. Questo il tenore della clausola: “Se per un anno dalla fine rapporto in esclusiva ricevi altre offerte, prima di accettarle devi sottoporle a me. Se le pareggio allora è come se te le avessi proposte io e firmi di nuovo con me. Se rifiuto vai pure per la tua strada col nuovo discografico”.
2) eventuali opzioni editoriali: poiché il prodotto discografico vende sempre meno, la casa discografica ha col tempo imparato che i proventi da diritto d’autore sono una fonte di ricavo importante, e quindi non può più fare a meno dall’essere anche l’editore musicale delle opere contenute nel disco. Di fatto la casa discografica chiede all’artista di impegnarsi a fare sì che gli autori delle opere musicali (potrebbero essere anche persone diverse dall’artista) cedano alla società editoriale indicata nel contratto i diritti d’autore su tali opere.
Oggi, il mondo della produzione discografica è radicalmente cambiato. Una buona parte del processo produttivo può essere svolta in proprio dall’artista. È certamente alla portata dell’artista autoprodursi, cioè arrivare a una registrazione due tracce missata. Ma, ben oltre, l’artista può certamente arrivare sino alla stampa del proprio disco, fatta in totale autonomia e con un investimento non stellare. L’artista è il produttore fonografico di se stesso, il proprietario della registrazione, e quindi il rapporto con la casa discografica da un punto di vista contrattuale è inquadrato come un contratto di licenza.
In questo tipo di accordo, l’artista autoprodotto (licenziante) concede l’uso di una sua proprietà (il master e, se di sua proprietà anche le grafiche del disco), per un determinato periodo di tempo (normalmente tre, cinque, sino a dieci anni) alla casa discografica (licenziatario), garantendo che il prodotto sia libero da ogni vizio legale, in cambio della realizzazione delle fasi produttive mancanti e, chiaramente di una percentuale sui guadagni. Mettendo un maggiore peso sul piatto della bilancia, l’artista autoprodotto avrà quindi da dividere ricavi maggiori, anche sino al 50 per cento.
Quanto agli aspetti legali preliminari relativi alle autoproduzioni ce ne dedicheremo altrove.
E voi cosa potete pretendere dal vostro contratto discografico o di licenza? La certezza di una data di pubblicazione del disco (entro n giorni dalla chiusura del master) e una tiratura di copie minima, qualche copia omaggio per chi potrebbe essere orgoglioso di voi. Cercate un accordo economico per potere vendere i vostri Cd ai concerti. Se possibile, fatevi mettere nero su bianco un impegno promozionale minimo concreto, o in termini di budget o di cose da fare (uno o più videoclip, un mini tour promozionale ecc.). Chiedete che le vostre spese per partecipare alla promozione del disco vi vengano rimborsate, che la rendicontazione (semestrale) sui guadagni del disco venga fatta sempre e comunque, anche quando non ci sono guadagni e per tutto lo sfruttamento del disco.
Nelle licenze, riservatevi se possibile l’opportunità di contattare direttamente quei territori dove la vostra casa discografica o il licenziatario non vuole arrivare. È inutile concedere una licenza mondiale se poi non c’è interesse o capacità di uscire dall’Italia. Meglio concedere licenze territoriali.
L’aspetto maggiormente critico, tuttavia, rimane, a parere di chi scrive, quello promozionale. Nella miriade di prodotti presenti oggi sul mercato, fare sapere sui media che è uscito un disco è impresa assai ardua ed è quello che fa la reale differenza tra un disco a tiratura “industriale” e un disco “artigianale”.
Compatibilmente con il genere musicale proposto, una etichetta deve possedere l’abilità, le competenze, i contatti e, auspicabilmente il budget adatto a promuovere il vostro prodotto. Se non fa questo tanto vale fare da soli e procedere a conquistarvi i vostri fan uno a uno.
Ecco perché gli artisti più famosi si possono permettere di fare tutto da soli, oramai. Sono stelle, hanno già un pubblico consolidato che esprime continuamente il desiderio di acquistare il prossimo loro disco.
Ci si affida a un ufficio stampa o un ufficio promozione radio professionale (che può costare da qualche centinaio a qualche migliaio di euro al mese per almeno n mesi di promozione) che proponga il prodotto ai media e al pubblico e si tiene il margine tutto per sé. Nessun ufficio promozionale garantisce risultati certi, ma solo che presenterà il vostro prodotto sulle giuste scrivanie, che è quello che conta. Ogni genere musicale ha il suo circuito, sia promozionale che distributivo, ed è quindi naturale cercare una strategia coerente col prodotto che si propone.
Non è invece facile rendere reperibile il proprio disco sugli scaffali dei negozi. I negozi specializzati stanno via via scomparendo lasciando spazio alla grande distribuzione organizzata (ipermercati, Mediaworld & Co.) che è diventata uno dei luoghi in cui si vende più musica, ma che offre, rispetto al negozio specializzato, una scelta di prodotti decisamente inferiore, spesso legata alla promozione televisiva e senza nessuna assistenza all’acquisto.
Il contratto di distribuzione (fisica), per chi voglia andare oltre alle vendite ai concerti, è certamente ancora oggi possibile, con margini per l’artista che vanno in media dal 50 all’80 per cento.
Due consigli preziosi:
1) non fate proprio tutto da soli. Anche se oggi la società dell’informazione e il digitale sembrano dirci che non abbiamo più bisogno di nessuno, d’altro canto, l’esperienza di chi fa un solo lavoro tutto il giorno, tutti giorni, è inarrivabile. La differenza tra un artista affermato e uno che non sfrutta al massimo le proprie potenzialità, non è per forza la sua bravura, ma la capacità di circondarsi di uno staff di persone capaci. Vale per i fonici, per i produttori artistici, i grafici, i fotografi, gli esperti di immagine, per chi fa comunicazione e… vale anche per i consulenti legali e i commercialisti. Nel momento più importante della vostra carriera è bene che vi facciate assistere da qualcuno che vi possa aiutare seriamente. Non andate dall’amico di famiglia che è avvocato. Il settore discografico è un settore specialistico. Sarebbe come andare a fare vedere al ginecologo un problema all’orecchio. Cercate un avvocato o un consulente specializzato in diritto della musica. Perdonate l’auto-promozione, ma non possiamo non segnalarvi che l’associazione NOTE LEGALI offre nella quota associativa annuale (35 euro), consulenza illimitata di inquadramento e spiegazione dei contratti. È l’unica struttura specializzata in Italia che offre un tale nobile servigio agli artisti emergenti e già oltre 1.700 artisti ne hanno usufruito. Anche se non voleste partecipare alla vita associativa, o formarvi per imparare, con una spesa esigua arriverete a sapere cosa c’è scritto nel pezzo di carta che vi hanno dato ed avere maggiore consapevolezza di cosa state facendo.
Se invece volete farvi aiutare in fase di trattativa e nei rapporti con l’etichetta, o ancora volete modificare o scrivere un contratto, allora meglio ingaggiare un consulente legale o un avvocato specializzati, a tariffa decisamente più onerosa, ma che, comunque, potrebbe valere ogni euro speso. Non per difendere la categoria, ma è bene capire che gli avvocati, così come i commercialisti, non sono il chirurgo da cui andare per cercare di operare metastasi diffuse, ma il medico di base dal quale farsi consigliare su come non farsi venire il cancro. Prevenire, è meglio che curare, diceva quello della réclame.
2) Si è detto che il mestiere del musicista è un mestiere. Bene, allora non è il caso di fidarsi delle varie leggende metropolitane che girano sulla rete, o tra amici. Non fidatevi della rete. Studiate, approfondite, mettete in discussione ogni informazione o mettetevi in mano ai migliori esperti di qualunque cosa. Non è il caso di racimolare modelli contrattuali da Internet, modificarli alla buona, giusto per dire che si è firmato qualcosa. Un contratto è come un disco: ha le sue regole. Avete le stesse possibilità di fare un buon lavoro mettendo le mani su un contratto di quelle che ha un avvocato mettendole sui vostri arrangiamenti e sui vostri mix. I modelli che si trovano in rete sono esempi che un esperto sa adattare alle vostre specifiche esigenze e rendere legalmente validi. Non sono pronti all’uso. Che senso ha firmare un pezzo di carta che potrebbe non avere alcun valore? Mettete quanto avete di più prezioso nelle mani di chi può tutelarvi. Potrebbe essere un costo, certo, ma quanto vale la vostra serenità?
* Questo articolo appare in diverse versioni in Rockerilla, dicembre 2011, e in Daniele Coluzzi, ROCK IN PROGRESS. Promuovere, distribuire, far conoscere la vostra musica, Effequ, 2012.