Un vero e proprio bene di ogni artista è la riconoscibilità, cioè la capacità del pubblico di associare determinate parole e/o immagini all’artista o a un suo progetto, oppure a un’attività come quella di etichetta discografica o edizione musicale). Stiamo quindi trattando di segni (appunto parole o immagini) con capacità distintiva di determinate attività o servizi da altri simili, i cosiddetti “marchi”. Marchi che conferiscono e rafforzano la personalità e l’individualità: una band si distingue da un’altra e si fa riconoscere dal pubblico tramite il proprio nome (marchio denominativo), eventualmente anche per il proprio logo (marchio figurativo) graficamente abbinato al nome. Aspetti da non sottovalutare e anzi da tutelare al meglio, volendo evitare che qualcuno un domani contesti o usurpi diritti che credevamo nostri e certi. Basta poco: è sufficiente non seguire alcune minime cautele e ci si può ritrovare (come è capitato davvero ad alcuni artisti, con evidenti danni) a dover mutare nome artistico con una carriera già avviata, perché qualcuno altro si è fatto vivo affermando di detenere i diritti su un marchio analogo. Meglio prevenire situazioni come questa.
Procediamo da subito chiarendo cosa non sia un marchio: certamente non lo è un segno privo di una minima capacità distintiva (ad es. se esiste già un marchio identico o molto simile, oppure se si tratta di una banalità assoluta come una semplice forma geometrica). Detto questo, non è sempre facile capire nel concreto quando sussista o meno tale capacità, si può dover andare in causa per accertarlo: meglio valutare con un consulente specializzato. Altri casi sono quelli del segno contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (es. un’immagine oscena), oppure riproducente denominazioni o simboli ufficiali (es. la bandiera italiana) o, ancora, il ritratto oppure il nome di una persona che non l’abbia autorizzato (es. il viso di Che Guevara).
Altra premessa: nel contesto di una band risulta importante capire chi sia il titolare del marchio. È la band nel suo insieme oppure solo uno o alcuni dei suoi componenti? Se non si formalizza per iscritto, con una scrittura privata tra tutti i componenti, capire un domani chi ne sia il proprietario esclusivo potrebbe comportare una “battaglia” legale all’ultima prova, soprattutto scritta. Meglio evitare questo scenario, con patti chiari fin dall’inizio.
V’è un altro aspetto cui fare attenzione e trascurato nella prassi: precisiamo che un marchio può essere un’opera tutelata dal diritto d’autore (se è artisticamente originale e creativa), quindi tutelata anzitutto come tale. Lo può essere una parola o frase originale e caratteristica, tratta da un’opera musicale o letteraria (ad es. «Velvet Underground», titolo di un libro) e lo può essere un disegno, un simbolo, un’immagine (il cosiddetto «logo», ad es. quello graficamente caratteristico dei Metallica). Potrebbe tuttavia trattarsi di un segno comune (non tutelato dal diritto d’autore) ma che in un contesto musicale assume una sua capacità distintiva (es. chiamare una band «Yes»); in questo caso, attenzione all’uso di segni rinomati altrui (ad es. il marchio «Coca Cola»), talmente famosi da essere vietati perfino in ambiti diversi da quelli originari.
Non si può certo adoperare come proprio marchio un’opera altrui (nemmeno modificandola, riducendola o alterandola in qualsiasi modo, anzi!) senza il permesso del titolare: l’autore di opere tutelate dal diritto d’autore deve cedere (cioè vendere, definitivamente) o concedere (cioè dare in licenza per un tempo e per usi limitati) i diritti di sfruttamento economico dell’opera creata a chi ne fa uso, per iscritto. Ad es. è il caso della band che si fa disegnare il logo da un amico: l’amico dovrà cedere tutti i diritti (non quelli morali d’autore, per cui ad es. dovrà sempre essere indicato quale unico autore del logo in tutte le sue riproduzioni) alla band, altrimenti questa non potrà legittimamente farne alcun uso.
Esaurite le premesse, veniamo al marchio vero e proprio. Molti pensano che un marchio nasca giuridicamente solo seguendo le procedure formali di registrazione (che vedremo in seguito): non è corretto perché la legge conferisce una tutela, pur inferiore, anche al semplice marchio di fatto, non registrato. Ovvero un marchio che viene utilizzato intenzionalmente, effettivamente, in maniera continua e in un territorio determinato (complessivamente detto «preuso»). Potrebbe essere un problema provare da quando e in che modo si è utilizzato il marchio di fatto, mancando la registrazione. Tant’è che i diritti sul marchio di fatto si perdono per non uso nel tempo, così da perdere la notorietà.
Quanto ai diritti spettanti al titolare del marchio di fatto: se l’uso è notorio solo a livello locale (diciamo, per semplificare, circoscritto a un ambito regionale), allora questi non potrà opporsi all’eventuale successiva registrazione di quel marchio da parte di terzi, potendo tuttavia continuare a usarlo entro la stessa area. Se invece l’uso non è stato meramente locale, ci si potrà opporre e così impedire la domanda di registrazione di terzi. Il titolare originario potrà decidere, eventualmente, di registrarlo.
Certamente un grosso aiuto per sostenere l’esercizio di un marchio di fatto è quello di registrare un nome a dominio Internet corrispondente al marchio. Però non si pensi che sia sufficiente: solo l’attività concretamente esercitata tramite il sito, il più possibile specifica e territorialmente indirizzata, potrà aiutare a comprovare il preuso di marchio.
Tocca infine affrontare il marchio registrato. È tale il marchio che abbia completato con successo una procedura di legge, così schematizzabile:
1) ricerca di anteriorità: pur non obbligatoria, questa fase è fondamentale per sapere se sia già stato registrato in precedenza un marchio identico o simile a quello desiderato; è possibile fare ricerche nella banca dati nazionale dei marchi (gratuita) e anche tramite le Camere di Commercio (a pagamento), tuttavia è fortemente consigliato avvalersi di un consulente per approfondire la ricerca in banche dati specializzate e per ottimizzare i risultati di quella nazionale, oltre a poter estendere l’analisi anche all’estero (in vista di un possibile uso fuori dai confini nazionali);
2) domanda di registrazione: il richiedente deve presentare domanda scritta agli uffici competenti: a) descrivendo il marchio (necessariamente nuovo, distintivo e lecito); b) segnalando i beni o servizi per i quali si sfrutterà il marchio: difatti il marchio registrato non ha una tutela assoluta (tranne quando divenga ampiamente notorio) bensì ristretta ai beni o servizi selezionati per classi merceologiche (si veda l’elenco qui); si dovrebbe tenere conto degli usi effettivi ma anche di quelli potenziali, futuri, bilanciando i maggiori costi relativi; ad es. una band potrebbe registrare il proprio marchio per uso artistico (identificato in servizi ad es. come «Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali» – Classe 41 – utile per svolgere attività dal vivo) e potrebbe pensare di includere la produzione di beni come i cd («Supporti di registrazione magnetica, dischi acustici; compact disc, DVD e altri supporti di registrazione digitale» – Classe 9) e il merchandising (es. «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria» – Classe 18); è sempre possibile aggiungere beni e servizi, ricordando che la relativa tutela varrà dalla data di domanda dell’aggiunta;
3) pubblicazione: la domanda viene esaminata dall’Ufficio Marchi per verificare i requisiti minimi di validità; se supera tale esame, la domanda viene pubblicata nel Bollettino dell’Ufficio Marchi ed entro 3 mesi è ammessa opposizione alla registrazione da parte di terzi che vantino diritti sul marchio (dopo tale termine, chi voglia rivendicare diritti sul marchio dovrà agire giudizialmente);
4) opposizione: fase solo eventuale, si verifica in caso di opposizione da parte del titolare di un marchio anteriore identico o simile a quello in registrazione, oppure del titolare di un segno identico o simile usato nell’arte, nella scienza, nello sport, ecc.; in caso di opposizione si apre una procedura di difesa, impugnazione, ecc. che richiede possibilmente, per il suo tecnicismo, l’assistenza di un consulente; se si perde in fase di opposizione, il marchio non potrà essere registrato;
5) registrazione: dopo diverso tempo dal deposito della domanda (nella prassi, trascorrono anni), della pubblicazione e della eventuale opposizione conclusa positivamente, l’ufficio competente comunicherà al richiedente, per iscritto, che la registrazione è andata a buon fine, con effetto dalla domanda. Solo così si potranno avere tutte le tutele di legge (soprattutto processuali), durevoli per 10 anni (rinnovabili), ottenendo prova di data certa grazie alla registrazione. E solo da questa fase si potrà apporre (facoltativamente) la famosa ® al marchio per segnalarne la registrazione.
Quali sono i costi per registrare un marchio nazionale? Nel momento in cui scriviamo, risultano complessivamente questi:
a) Tasse governative per un primo deposito (10 anni di protezione) e una classe: € 101,00
b) Per ogni classe aggiuntiva: €34,00
c) Marca da bollo per ogni domanda in cartaceo: € 16,00
d) Diritti di segreteria: € 40,00.
Per registrare un marchio non è obbligatorio un consulente, basta recarsi alla locale Camera di Commercio oppure all’Ufficio Marchi e Brevetti di Roma, disponibili e competenti verso gli utenti. Ciononostante consigliamo vivamente di avvalersi di un esperto specializzato in proprietà intellettuale (avvocato o altro consulente professionista), per evitare passi falsi insanabili, facendosi consigliare al meglio su come procedere nel proprio specifico caso. La sola ricerca di anteriorità – momento fondamentale per evitare errori non sanabili – richiede una certa dimestichezza e competenza in materia, oltre che esperienza sul campo, se si vogliono avere meno sorprese possibili.
Per completezza, segnaliamo che oltre al marchio nazionale (avente valore solo in Italia) è possibile anche registrare il marchio a livello comunitario (con valore in tutta la comunità europea) e internazionale (con effetto in singoli Paesi esteri). Ovviamente i costi e la complessità di tali procedure sono notevolmente più elevati, necessitando di un delegato consulente. Certo registrare un marchio solo a livello nazionale, quando si svolge un’attività anche al di fuori del territorio, potrebbe essere limitativo, così come non ha molto fondamento se si svolge la propria attività soprattutto o esclusivamente all’estero. I costi da valutare non sono trascurabili, bisogna contemperare le proprie esigenze con le capacità di spesa. Di nuovo, un consulente può aiutare a capire strategicamente come meglio muoversi, ottimizzando le spese.
Concludiamo con una distinzione basilare tra i marchi, appena visti, e gli pseudonimi/nomi d’arte di singoli individui. Questi possono anche essere tutelati come marchi, se ne presentano i requisiti, ma anzitutto sono tutelati dal diritto civile al pari del nome (art. 9 cod. civ.). Qui preme segnalare che presso SIAE è attivabile una procedura di registrazione di pseudonimi/nomi d’arte da parte di autori/compositori (gli artisti nulla c’entrano) già iscritti a una società di gestione collettiva, al fine di ottenere un automatico abbinamento nei documenti e procedure interne SIAE circa lo sfruttamento delle opere. Ad es. se in un borderò SIAE di una serata di musica live, chi compila indica «Sting» tra gli autori di «Roxanne», la SIAE potrebbe non abbinare lo pseudonimo «Sting» all’autore Matthew Gordon Sumner. Per farlo, lo pseudonimo «Sting» è stato appunto registrato in SIAE, evitando ogni malinteso. Le procedure SIAE sono a pagamento e prescrivono alcuni requisiti (si vedano qui tutti i dettagli). Perciò non si confondano le procedure amministrative SIAE appena dette con quelle concernenti i marchi: nessun effetto hanno in tal senso.