Pare vi sia ancora confusione sui cambiamenti introdotti dal Jobs Act (D.Lgs. 81/2015), in particolare quanto alla possibilità di svolgere prestazioni occasionali da lavoratori autonomi e quanto all’obbligatorietà di aprire una partita IVA. Il presente contributo è meramente illustrativo, per approfondimenti rimandiamo sempre e comunque alla valutazione di un competente esperto fiscale (avvocato tributarista, commercialista, CAF, la stessa Agenzia delle Entrate). Tentiamo qui di fornire, comunque, una panoramica essenziale, dividendo i punti focali per quesiti.
1) Quando è obbligatorio, ora, aprire una partita IVA? In generale, la partita IVA per attività lavorative di lavoro autonomo (anche di spettacolo) era obbligatoria solo se superati i 5.000 euro annui, 30 giorni massimi all’anno per committente, ecc., per prestazioni occasionali. Ora la disciplina (dal 2015) è cambiata e si può lavorare senza aprire partita IVA solo in caso di prestazioni occasionali (non continuative ma coordinate dal committente, senza vincolo di durata) che in concreto devono rispettare tutti questi indici:
- assunzione del rischio economico da parte del lavoratore;
- assenza di vincoli di orario;
- libertà quanto alle modalità (tecniche) di esecuzione del lavoro e senza inserimento del collaboratore nell’organizzazione dell’impresa;
- conseguimento di un risultato predefinito;
- compenso determinato in funzione dell’opera eseguita o del servizio reso, senza alcuna periodicità;
- unicità della prestazione: il lavoratore deve ricevere un unico incarico nell’anno considerato, anche se può richiedere il compimento di più atti in un certo lasso di tempo;
- carattere episodico della prestazione;
- senza che vi sia l’iscrizione a un albo professionale da parte del collaboratore.
In tali casi ci si potrà limitare a emettere semplice ricevuta senza IVA, con ritenuta d’acconto 20% (se il committente è impresa o professionista con partita IVA e quindi può versare tale ritenuta come sostituto d’imposta).
Se gli indici suddetti non vengono rispettati la prestazione non sarà più occasionale e il lavoratore dovrà aprire la partita IVA, emettendo così fattura (con o senza IVA e ritenuta d’acconto, a seconda del regime IVA adottato), oppure il datore dovrà assumere il lavoratore con contratto di lavoro subordinato.
2) Quanto sopra vale anche quanto all’obbligo di iscrizione e versamento previdenziale INPS? Non si confondano mai i presupposti fiscali da quelli previdenziali, seguono normative diverse e vanno tutte rispettate. Difatti in ambito previdenziale permane, invece, il limite dei 5.000 euro annui per capire se il lavoratore debba iscriversi o meno in INPS Gestione Separata e versarvi i contributi (per attività come ad es. quelle di didattica, anche in ambito artistico); attenzione, se si tratta di attività di spettacolo (es. turni in studio, attività dal vivo, ecc.) si dovranno sempre versare contributi solo nella diversa cassa dell’INPS Polo dello Spettacolo (exEnpals) anche al di sotto di tale soglia (si vedano qui in generale le procedure quanto allo spettacolo, tuttora vigenti.
3) I redditi di diritto d’autore (come quelli incassati dagli iscritti in collecting come SIAE) vanno computati nei calcoli previdenziali? No, vanno invece considerati altri redditi connessi allo spettacolo (es. come artista per turni in studio, live, ecc.). Qui avevamo già analizzato come i proventi da diritto d’autore non rilevino previdenzialmente.
4) Se si incassano compensi con i voucher, hanno qualche effetto circa le altre eventuali attività occasionali? No, tali compensi da voucher non sono nemmeno imponibili fiscalmente né, in generale, utili per altri computi. Si stia attenti a utilizzare i voucher solo per lavoro effettivamente “accessorio”, cioè svolto saltuariamente per compensi non superiori a 7.000 euro complessivi nel corso di un anno (con limite di 2.000 euro annui per singolo committente imprenditore o professionista). Ricordiamo che – pur in maniera discutibile, a nostro avviso – l’INPS ha ammesso la possibilità di utilizzare i voucher anche per prestazioni di spettacolo, derogando alle normali procedure del settore (agibilità, ecc.).
5) Che differenza c’è tra prestazione occasionale, collaborazione coordinata continuativa e lavoro autonomo? Si tratta delle tre figure di lavoro autonomo-parasubordinato residue dopo la riforma del Jobs Act (è stato abrogato ad es. il contratto a progetto). La distinzione, in certi casi, non è immediata, ci limitiamo qui a dare alcune indicazioni di base.
Della prestazione occasionale abbiamo già detto sopra (punto 1), degli indici che la identificano pure. Si tratta di una specie particolare di lavoro autonomo, il quale nella sua forma non occasionale va inteso come prestazione di lavoro a fronte di un corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione verso il committente. Onde per cui: se si presentano gli indici detti sopra, sarà prestazione occasionale (per cui non si dovrà necessariamente aprire partita IVA), altrimenti si tratterà di normale lavoro autonomo (per cui si dovrà aprire e avere partita IVA).
Si potrà, in alternativa, instaurare un rapporto di lavoro parasubordinato nella forma della collaborazione coordinata continuativa, con apposito contratto. La prestazione dovrà essere continuativa, coordinata e a carattere prevalentemente personale. Se, inoltre, l’organizzazione della modalità di prestazione è riservata al committente (salvo casi determinati di legge, come quelli previsti da CCNL applicabili o quando si tratti di professionisti iscritti ad albi), si applicherà la disciplina del lavoro subordinato (quindi il lavoratore sarà un dipendente), altrimenti si tratterà di lavoro autonomo (per cui vale quanto detto sopra).