Ragioniamo in termini di principio e buon senso. Secondo voi gli autori e i compositori (non intendiamo i musicisti in genere, in questo caso) avrebbero diritto a una pensione per la propria attività creativa? Cosa ne pensate?
La questione merita qualche riga. Il tema della previdenza degli autori e dei compositori è tornato di attualità a seguito di alcuni recenti messaggi dell’INPS (n. 14712 del 18 settembre e n. 019435 del 28 novembre 2013) ed è il pretesto per ragionare in senso più ampio sull’attuale assetto della previdenza dei musicisti.
Come certamente sapete, l’attività degli autori e dei compositori può essere oggetto di obblighi previdenziali (e di conseguenza generare una pensione) solamente in alcuni casi.
Se, per esempio, voi scrivete una canzone e attraverso il lavoro di intermediazione svolto dalla SIAE o attraverso una vostra concessione d’uso diretta (per una sincronizzazione, per esempio), tale opera viene utilizzata, il provento da diritto d’autore che riceverete non verrà assoggettato ad alcuna forma di trattenuta previdenziale. Gli autori, quindi, in questo caso assai comune, non hanno quindi diritto ad alcuna forma di pensione, vivono solo di diritto d’autore fino alla fine dei propri giorni, sperando che il proprio repertorio musicale non diventi obsoleto e generi compensi sufficienti a mantenerli anche nella vecchiaia.
Proprio per la totale assenza di previdenza, è giusto ricordare che gli autori iscritti alla SIAE avevano previsto la costituzione di un Fondo di Solidarietà, il quale, alimentato da una trattenuta sui compensi percepiti attraverso SIAE del 4% per gli autori e del 2% per gli editori, serviva poi per erogare un assegno di professionalità (non una forma di previdenza, quindi) utile ad aiutare gli autori più bisognosi alla fine della propria carriera. Tale trattenuta è stata eliminata alla fine del 2012, in periodo di commissariamento, e oggi tale fondo, che a tale data consisteva in 87 milioni di euro, è alimentato annualmente utilizzando gli avanzi di gestione della SIAE nella misura massima del 5% , su scelta del Consiglio di Gestione della SIAE, unicamente a favore degli associati autori (non dei mandanti) che si trovino in situazione svantaggiata in ragione di età e di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, con finalità di solidaristiche di beneficienza e assistenza sociale, ma non previdenziale (art. 31 Statuto SIAE). Tale scelta ha generato grande tensione nella categoria, perché molti autori si sono visti privati di tutti i versamenti fatti nel Fondo nel corso degli anni, versamenti che avrebbero preferito vedersi restituiti.
Come potete verificare dai rendiconti semestrali, comunque, oggi la SIAE non applica alcuna trattenuta di natura previdenziale, ma si limita solamente a sottrarre, oltre alla quota di iscrizione annuale e all’aggio (il proprio compenso), le normali trattenute fiscali, corrispondenti alle ritenute d’acconto agevolate del 15% (per contribuenti con età superiore a 35 anni) ovvero al 12% (per contribuenti con età pari o inferiore a 35 anni).
Caso diverso è quello in cui il reddito per lo sfruttamento economico del diritto d’autore risulta derivante da una prestazione lavorativa (quale ad esempio la realizzazione su commissione di un arrangiamento) di un lavoratore iscritto all’ex Enpals: in tale caso almeno il 60% del compenso ricevuto dovrà essere assoggettato alla previdenza ex Enpals in quanto corrispettivo per una prestazione d’opera (ovvero complessivamente con una aliquota del 33% di cui il 9,19% a titolo di rivalsa sul lavoratore incrementata al 10,19% per la parte di compenso che supera la misura prevista dall’art. 3ter del D.L. n. 384/1992 conv. dalla l. n. 438/1992), e al massimo il 40% potrà essere imputato a corrispettivo connesso alla cessione dello sfruttamento economico dei citati diritti (cfr. circ. ENPALS n. 1/2004 e art. 43, co. 3, della legge 289/2002) e quindi non assoggettato a obblighi previdenziali; questo purché tale suddivisione sia prevista da un contratto scritto.
Una totale assenza di obbligo contributivo, neanche nei confronti della Gestione separata INPS (ex art. 2, comma 26, L. n. 335/1995) è prevista invece quando il compenso percepito per lo sfruttamento economico del diritto di autore avvenga da parte di un lavoratore autonomo non iscritto all’ex Enpals né ad una cassa professionale.
Orbene, come vedete, la questione è complicata e apparentemente poco organica, perché non fornisce una risposta secca alla nostra domanda iniziale. Vi risparmio tutte le eccezioni tecniche che si possono sollevare in merito a quanto sopra sinteticamente detto, quali quelle legate al fatto che esiste la figura del “lavoratore autonomo esercente attività musicali” e che spesso i musicisti lavorano per dei privati e non per dei “datori di lavoro” iscritti all’ex Enpals.
Il fatto è i tempi sono più che maturi per proporre una riforma previdenziale e fiscale per i lavoratori dello spettacolo. Il mondo della musica, in particolare, è profondamente cambiato. Il lavoro nero e l’evasione contributiva per le prestazioni dal vivo sono dilaganti, al punto che i pochi che vogliono lavorare in regola si trovano in grande difficoltà a competere con chi si propone a compensi di molto inferiori, anche grazie alla rinuncia volontaria dei versamenti contributivi (c.d. “esenzione da comma 188”).
Oggi un musicista scrive musica, la arrangia, si autoproduce a casa, vende i propri CD ai concerti, vende i propri file online, svolge diverse attività che da un punto di vista fiscale e previdenziale sono inquadrate in modo molto difforme ed è molto difficile trovare commercialisti competenti grazie ai quali fare chiarezza sulla propria posizione. Alcuni inquadramenti sono peraltro inopportuni: semplificando, quando un musicista insegna ha come cassa previdenziale di riferimento l’INPS gestione separata, quando suona l’ex Enpals. Che senso ha avere più casse previdenziali e disperdere i propri contributi, senza possibilità di ricongiungimento dei medesimi e col rischio di allontanare la possibilità di ricevere una pensione?
Bene, ora che la questione di un più corretto inquadramento fiscale e previdenziale dei musicisti si è ravvivata, raccomandiamo a ciascuno di fare la propria parte. Iscrivetevi a un sindacato o una associazione, quella che preferite, raccontate le vostre difficoltà, fornite il vostro contributo propositivo, se potete, dedicatevi del tempo. Se non mettiamo benzina in quella macchina che è diretta verso il cambiamento, anche solo col versamento di una comune quota associativa, nulla succederà. Sindacati e associazioni della musica oggi hanno capito che insieme si è più forti e stanno avviando un percorso tecnico per presentare proposte unitarie. Ma senza il contributo e il sostegno della categoria, poco potrà accadere.
Questo articolo appare, in altra forma, anche sul numero di gennaio della rivista “Chitarre”