La globalizzazione coinvolge anche la musica. Internet ha aperto le frontiere e permette a tutti di farsi ascoltare da tutti, di mandare la propria musica in giro per il mondo con un click, di conseguenza le esigenze di certezza si sono fatte globali. Quando incorriamo in una registrazione musicale (cd. fonogramma), ad esempio, spesso capita di vedervi annesso un numerino, un codice identificativo. Che cos’è? A che serve? È obbligatorio? A chi lo posso richiedere? Gli interrogativi in materia fioccano numerosi quanti i codici adottati, presenti per i diversi oggetti e soggetti dell’ambiente musicale.
Partiamo dal perché. Fino a oggi, per avere la certezza che due parti stessero trattando della stessa cosa si doveva ricorrere a vari stratagemmi. Un esempio: a un contratto che abbia ad oggetto un fonogramma, come una licenza di master, può essere allegato il relativo CD firmato dalle parti contrattuali. Con i codici internazionali questa esigenza di certezza si può raggiungere con meno sforzo, semplicemente indicando il codice internazionale, il quale essendo univoco per tutto il globo non corre il rischio di malintesi. Venendo all’esempio, le parti della licenza potranno semplicemente indicare il codice ISRC dei fonogrammi, senza dover allegare alcunché. In definitiva i codici internazionali rispondono al bisogno di classificazione e ordine, fondamentali per poter avere una certa sicurezza negli scambi con terzi. Non dimentichiamo i vantaggi per la gestione dei diritti d’autore e connessi: sarà molto più facile, ad es., percepire i diritti connessi del produttore fonografico se si avrà a disposizione il codice ISRC con cui verificare gli utilizzi del fonogramma.
I codici, in sé e per sé, non sono obbligatori per legge, tuttavia sono spesso richiesti come requisito inderogabile da vari soggetti ed enti per interagire con loro. Un esempio è dato dall’Enpals che nel modulo previsto per i contributi dovuti ai cantanti in sala di incisione prescrive l’inserimento del codice ISRC di ogni registrazione. Venendo ad altro: se volete far distribuire dei supporti (CD, DVD, ecc.), il distributore vi richiederà necessariamente il codice a barre sugli stessi per il semplice motivo che gli è fondamentale per la sua organizzazione e contabilità, senza che ciò sia imposto da alcuna norma.
L’analisi dei vari codici in uso può partire dal già citato codice ISRC (International Standard Recording Code – Codice Standard di Registrazione Internazionale). Ideato dall’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (cd. ISO), un ente preposto all’ideazione, realizzazione e diffusione della codificazione internazionale, identifica l’ISRC come «Standard Internazionale ISO 3901». L’ISRC viene adottato per singoli fonogrammi e videogrammi, cioè singole registrazioni sonore (trattiamo della singola traccia, non dell’album intero, attenzione!) nonchè quelle audiovisive musicali, in qualunque formato esse siano, compreso quello in digitale come .mp3, .wav, ecc. L’ISRC è alfanumerico e consiste in 12 caratteri che identificano quattro elementi (separati da trattini): il Paese (2 caratteri), il primo proprietario (3 caratteri), l’anno (2 caratteri), la registrazione (5 caratteri). Per «anno» si intende l’anno in cui è stato richiesto il codice, potendo differire da quello effettivo di registrazione.
Chiariamo che il «primo proprietario» deve essere necessariamente il produttore fonografico originario: è lui a dover richiedere il codice, quindi in caso di licenze o cessioni del master rimarrà perennemente indicato come primo proprietario. È ininfluente chi successivamente abbia stampato o distribuito i fonogrammi, sempre che il fonogramma sia rimasto inalterato. A meno che il fonogramma non sia stato registrato da un produttore che prima di richiedere il codice ne abbia ceduto tutti i diritti a un secondo produttore, il secondo sarà indicato come «primo proprietario». In caso di licenza della registrazione prima dell’assegnazione del codice, il produttore originario dovrà informare il licenziatario su come ottenere il codice da «primo proprietario». Chiariamo che comunque le direttive sul codice ISRC imporrebbero l’onere di richiesta a capo del produttore originario già in fase di pre-mastering, per arrivare all’assegnazione a masterizzazione completata.
Per quanto riguarda la presentazione, il codice ISRC deve sempre essere preceduto dalla dicitura «ISRC» seguita dal codice vero e proprio. Un esempio può essere il seguente: ISRC FR-BMG-92-00212, dove si evince facilmente che il Paese è la Francia, il proprietario è il produttore BMG e l’anno di registrazione il 1992.
Si badi bene che il codice identifica una registrazione, non l’opera incisa, per la quale vale un diverso codice (l’ISWC, che scopriremo oltre). Ne consegue che eventuali altre registrazioni della stessa opera (ad es. le live version), nonché le modifiche alla precedente registrazione quali i remix, le editing version, estratti di 30 secondi, ecc., dovrebbero ottenere un diverso codice ISRC.
L’assegnazione viene fatta in ogni Paese da un’unica fonte abilitata, la quale non dovrebbe far pagare il servizio ma è libera di derogare e chiedere un compenso. In Italia la competenza spetta alla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana – http://www.fimi.it/ISRC.php) senza che sia necessario essere affiliati FIMI: è sufficiente compilare il form sul loro sito per ottenere il codice. La FIMI mette anche a disposizione una guida pratica al codice ISRC (http://www.fimi.it/pdf/ISRC.pdf), liberamente scaricabile, a cui rinviamo per approfondimenti. Segnaliamo che la IFPI (Federazione Internazionale dell’Industria Fonografica) raccomanda, a partire dal 1988, a tutti i suoi membri (ovvero la maggior parte delle major discografiche) che l’ISRC venga adottato come mezzo di identificazione internazionale per le registrazioni prodotte. Proprio entro la struttura IFPI risiede, tra l’altro, l’International ISRC Agency (ubicata a Londra) che svolge l’amministrazione internazionale del sistema ISRC.
La codificazione ISRC è compatibile con gli standard sviluppati nel settore elettronico e, se incorporata in formati digitali appropriati, è leggibile anche dai sistemi hardware. Di conseguenza viene sempre più adoperata nei sistemi di gestione elettronica e digitale del copyright. Il codice è tecnicamente apponibile come meta-data al fonogramma, in maniera diversa a seconda del formato. Il manuale diffuso dalla FIMI, prima citato, tratta analiticamente come procedere, caso per caso.
Avvertiamo che per rispettare l’univocità (senza la quale tutto il progetto ISRC e di codificazione in genere perde di senso) il codice non andrà mai riutilizzato per più registrazioni. In caso ad es. di errore nell’assegnazione del numero, si dovrà provvedere a richiederne uno nuovo corretto. Altrettanto importante è la raccomandazione di documentazione, in appositi data-base, che i «primi proprietari” devono tenere di tutti i codici da loro assegnati, essendone direttamente responsabili.
Inoltre si ricordi che il codice ISRC dovrà essere inserito nella documentazione che riguarda i diritti sulla registrazione e relativi atti, come le licenze e contratti vari. Che fare quando i diritti connessi sulla registrazione siano giunti a scadenza (dopo 50 anni dalla pubblicazione, come ad esempio in Italia)? Ebbene, viene raccomandato di utilizzare ugualmente il codice, poiché i diritti scaduti in un Paese potrebbero essere vigenti in un altro (oppure essere prorogati, come accadde in Inghilterra nel 1988) e l’assenza di codice renderebbe arduo rintracciare l’avente diritto. Nel caso in cui una registrazione sia stata pubblicata senza codice ISRC è sempre possibile assegnarlo successivamente, a favore dell’attuale titolare (proprietario) dei diritti, se si vuole effettuare una ripubblicazione (così consiglia il manuale dell’ISRC).
Qualora figurino più titolari dei diritti sulla registrazione, questi si dovranno accordare per attribuire la responsabilità del codice a uno solo. Dal punto di vista giuridico, in ogni caso, il fatto di aver ottenuto l’assegnazione di un codice ISRC su di una registrazione e il fatto di risultare «primi proprietari» della stessa non ha alcun valore probatorio, giuridicamente parlando, pertanto non si potrà invocare la titolarità del codice ISRC come prova della effettiva titolarità dei diritti sulla registrazione.
Sempre l’ISO ha unificato e certificato un altro importante codice (identificato come «ISO 15707»), ancora internazionalmente univoco, cioè l’ISWC (International Standard Musical Work Code – Codice Standard Internazionale delle Opere Musicali, ma si tenga conto che verrà impiegato anche per le opere letterarie), il quale identifica un’opera dell’ingegno di tipo musicale, indipendentemente dalla sua esecuzione, espressione, manifestazione da parte di chicchessia in qualunque modo.
Il codice in parola è stato messo a punto dalla CISAC (International Confederation of Societies of Authors and Composers), l’organizzazione che riunisce le società di gestione collettiva dei diritti d’autore (come la SIAE in Italia), ed è paragonabile all’ISBN (International Standard Book Number) che si applica ai libri. Come si intuisce, il codice favorisce la corretta identificazione di opere nelle banche dati informatiche e lo scambio di informazioni tra autori, editori, utilizzatori e le società di gestione collettiva delle opere, tant’è che oggi le società di gestione collettiva che prevedono il deposito delle opere amministrate vi assegnano automaticamente un codice ISWC, reso noto alla conferma di avvenuta registrazione dell’opera. Tutte le opere munite di un ISWC sono consultabili online tramite la banca dati dell’ISWC Net (http://www.iswc.org), ricordando che per suo tramite si potrà conoscere l’autore dell’opera però non l’eventuale editore della stessa.
Il codice si compone di tre elementi: un prefisso «T» (sarà «L» per le opere letterarie), seguito da nove cifre più una cifra di controllo (cioè generata da un algoritmo sulla base delle altre cifre per verificare se siano corrette), tutti suddivisi da un trattino. La prima canzone assegnataria di un codice ISWC, per curiosità, è stata «Dancing queen» degli Abba, con il codice T-00000000-0. Come si evince, i numeri assegnati in sé sono privi di informazioni sull’opera, a differenza di altri codici come ad es. l’ISRC.
I dati necessari per ottenere l’assegnazione del codice sono i seguenti:
• titolo dell’opera (il testo di un’opera musicale, se presente, essendo abbinato a una musica e depositato con essa sarà per forza identificato con essa, condividendo lo stesso ISWC);
• nome di tutti gli autori, divisi per ruolo (autore di testi, di musiche o arrangiatore), identificati dal codice CAE/IPI che vedremo più avanti;
• codice di classificazione dell’opera (secondo quelli prefissati con il CIS, ovvero il Common Information System – Sistema Informativo Comune, gestito dalla CISAC);
• identificazione dell’opera originale, qualora sia un’opera derivata da una precedente, come ad esempio nel caso di una rielaborazione.
L’International ISWC Agency è responsabile per l’assegnazione dei codici, effettuata tramite le agenzie titolari in ogni Paese, come le società di gestione collettiva aderenti alla CISAC. Non si può richiedere in proprio un codice ISWC, bisogna passare obbligatoriamente attraverso l’agenzia competente localmente (in Italia ne fa le veci la SIAE) a cui siano iscritti, determinata attraverso la nazionalità del codice CAE/IPI degli autori. Tuttavia, qualora gli aventi diritto non siano iscritti a nessuna agenzia locale (non è un obbligo) potranno in tal caso richiedere personalmente il codice all’agenzia internazionale. Le opere assegnatarie potranno essere inedite o create già da tempo, basti ricordare che il codice seguirà permanentemente l’opera e non potrà più cambiare per nessun motivo.
Che accade quando gli autori siano più d’uno e ricadano sotto la competenza di più agenzie locali? Quale sarà la competente? Semplice: il primo richiedente. Ad es., se gli autori di un’opera sono due, uno iscritto alla SIAE e l’altro alla GEMA (società di collecting tedesca), basterà all’autore SIAE depositare l’opera in Italia per farle assegnare il codice ISWC. L’autore GEMA si ritroverà nella banca dati internazionale l’opera già identificata, al cui codice farà riferimento di lì in poi la GEMA per ogni operazione.
In caso di traduzione o modifica di un testo associato a una musica (ad es. la cover in italiano di un brano americano), oppure di diversificazione dell’arrangiamento musicale, o ancora di estratto da un’opera (ad es. un’aria da un’opera lirica) è necessario assegnare un nuovo codice ISWC alla nuova versione. Un ulteriore meta-data associato al codice, come visto prima, indicherà il collegamento all’opera di partenza. Curiosamente, anche le versioni non autorizzate di opere (ad es. una rielaborazione di un brano di cui non è stata chiesta né concessa l’autorizzazione) hanno diritto al codice, se non altro per identificare un’opera non legittima.
Puntualizziamo un aspetto per quanto riguarda gli arrangiamenti: trattandosi di musica, ai sensi della tutela di diritto d’autore in Italia, che copre generalmente solo la linea melodica del brano, il codice ISWC fa riferimento a questa, escludendo qualunque riferimento ad elementi secondari come l’arrangiamento. Per capirci: se arrangio lo stesso brano in maniera diversa da quella originaria, senza però modifiche melodiche, il codice ISWC sarà sempre il medesimo. Altri Paesi adottano un criterio diverso, come la Francia, ove viene permesso pure all’arrangiatore di poter rivendicare la paternità (nonché i compensi derivanti) del suo contributo all’opera. Dal punto di vista italiano, la SIAE identificherà l’arrangiatore indicato in Francia come semplice coautore delle musiche.
Rinviamo la nostra panoramica alla prossima puntata, dove capiremo cosa sono i codici CAE/IPI, ISMN, DOI nonché i famosi codici a barre.